FOTOGRAFANDO ...la VITA by KATIA VERZA

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mercoledì 1 giugno 2016

FOTOGRAFANDO CAMOGLI


Dopo la mia prima scorribanda a Genova tra i suoi vicoli, ho deciso di far visita a Camogli e poi puntare a San Fruttuoso.
Questa volta non ero accompagnata da nessun timore, ero piacevolmente serena, avevo preso confidenza con il monitor della stazione, sapevo come muovermi per raggiungere i binari, quindi il primo passo, verso una cosa nuova era stato fatto, ora potevo vivere quell'attimo con meno ansia e più serenità.
Sono sicura che leggendo queste righe, uno potrebbe pensare a quanto strana possa sembrare la cosa, ma se ci pensiamo bene, in molte cose noi uomini siamo "limitati", anche nel prendere un treno. A questo proposito mi viene in mente un passo del libro di Sergio Bambarén "l'unico vero rischio nella vita è non voler correre alcun rischio".

Parlandone tra amici, la mia amica Giovanna ascoltando non che ex collega ascoltando la mia prossima tappa, mi ha chiese se poteva accompagnarmi in questa spedizione.
Sono sincera, questo viaggio doveva essere solo mio, volevo affrontare la giornata da sola, poi non so, qualcosa mi ha bloccato e ho accettato la sua piacevole e discreta compagnia. Se non ci fosse stata Giovanna credo che non avrei assistito ad una scena piuttosto significativa, che ha molto del ridicolo, ma che rispecchia una nostra triste realtà, che poi in seguito vi racconterò.
Il nostro viaggio è iniziato presto ore 8 circa abbiamo preso il nostro treno Regionale Veloce da Pavia giungendo dopo circa 2 ore a Camogli.

Camogli non era particolarmente trafficata, tanto che si potevano scorgere parecchi posti d'auto vuoti, mi ricordo un'estate di tanti anni fa, che era pressochè impossibile trovar parcheggio. Quindi credo che il treno sia l'unica soluzione per poterla raggiungere in qualsiasi momento senza dover diventare matti a trovar parcheggio.

Purtroppo io il giorno precedente a causa di un'incessante pioggia mi ero raffreddata, ma per quella giornata avrei fatto qualsiasi cosa per poterla vivere. 

Quella notte infatti, mi sono imbottita per bene di antinfiammatori e antipiretici per non poter mancare a quell'appuntamento con il mare. Tra me e me mi ripetevo che 
 "se riesco a lavorare in queste condizioni, posso anche godermi questo magnifico giorno di vacanza".

Infatti avevo ragione nel pensare che sarebbe stata una bella giornata, anzi stupenda, per usare le parole di Giovanna "un dono di Dio". 
Il giorno prima essendoci stati dei fortissimi temporali in zona, hanno spazzato via tutta la foschia e nuvole dal cielo, dando origine a una giornata limpidissima dove il cielo si tuffava nel mare e il mare toccava il cielo, in certi momenti non capivo dove finisse l'uno e iniziava l'altro, se non dalla riga di terra che li attraversava.

Appena giunti alla vista del mare, ci siamo concesse una colazione, e li ho iniziato a tirar fuori la mia fedele amica Nikon, ho iniziato ad immortalare quel piccolo angolo di terra. Mi sono scusata subito con Giovanna di questa mia passione, che mi porta ad chiudermi in un silenzio, alla ricerca del particolare da immortalare, ma in fondo uno dei motivi del mio viaggio era proprio quello.

Abbiamo iniziato a gironzolare, finendo sulla spiaggia con un pezzo di focaccia in mano.
Alla fine abbiamo preso la decisione di prendere il traghetto per San Fruttuoso, un'angolo di paradiso, che in quella giornata particolarmente tersa, dall'aria frizzante, assumeva un'aria ancora più splendida, ancora più incantevole da toglierti il fiato, con la sua acqua cristallina e il suo verde brillante.

Appena scese, non avevamo altra scelta che sederci un'attimo in quel metro quadro di spiaggia libera.  La spiaggia, di quel che ne restava era invasa da un centinaio di ragazzini, che sicuramente erano in gita scolastica di fine anno.
Sono sincera, di solito i ragazzini mi danno noia, perchè non molto rispettosi e molto spesso maleducati, ma in questo caso, ero talmente rapita dall'acqua azzurra che non ci feci caso.  

Non resistetti, mi levai la sciarpa di cotone leggero che tenevo intorno al collo, e me l'avvolsi intorno alla vita, mi sfilai scarpe, calze e jeans, mi tolsi la maglietta, e rimasi in canottiera, con l'intimo mascherato dalla sciarpa e mi immersi le gambe nel primo tratto della battigia. Era tempo che non provavo una sensazione del genere, i miei piedi sprofondavano nella sabbia risucchiata dall'indietreggiare dell'onda, per poi esser subito sommersi. Feci qualche passo ancora fino alle ginocchia, la voglia di immergermi è stata grande, ma non ero nelle condizioni per farlo, e non avevo nulla con cui asciugarmi dopo, e visto che mi sentivo ancora febbriciante, ho rinunciato dal tuffarmi.. mi sono solo accontenta di quella sensazione rigenerante, di pulito. Come dice quel detto: "chi si accontenta gode, oppure come mi ha suggerito un'amico, chi gode si accontenta".

Abbiamo visitato l'Abbazia di San Fruttuoso, non è cambiata molto dalla mia ultima visita di circa 15 anni fa, più o meno sempre la stessa.  Solo che questa volta alcuni particolari sono riuscita a coglierli con maggiore attenzione, come le sculture, le scritte, e i disegni sulla pietra. In effetti non mi ci ero mai soffermata a pensarci. Nel passato non esisteva la tecnologia, non c'erano i mezzi informatici, per lasciare un segno del nostro passaggio. Ora basta farci una foto e postarla su FB o su Istagram per dire che noi eravamo la, oppure per raccontare la nostra storia, un pò come sto facendo io adesso. Una volta la storia veniva raccontata a suon di scalpello, venivano incise su lastre di marmo o pietra gli stemmi, le storie, la vita di chi aveva vissuto in quel dato luogo. Poi è toccato a noi, decifrare, ipotizzare e infine raccontare la storia di quel luogo, di quel popolo, di quel periodo, attraverso i lasciti, attraverso i resti trovati, attraverso indizi ... Ci sono stati uomini che hanno costruito, ce ne sono stati altri che hanno avuto il compito di narrare, ricostruendo a loro volta un  "Passato Lontano"... 
In fin dei conti, l'uomo cerca sempre di lasciare una traccia di sè, del suo passaggio. Questo è un bene, peccato che più pochi sono attratti da queste meraviglie. Meraviglie che ci appartengono anche se di un'altro luogo.

Alla fine del giro ci siamo sedute ad aspettare il traghetto che ci avrebbe riportato a Camogli, li abbiamo iniziato a contemplare le barche ancorate appena fuori dall'insenatura di San Fruttuoso, ed abbiamo iniziato a parlare ... ad immaginare.
Notai un equipaggio che scendeva da una di esse, mi domandai il motivo di venire a terra a prendere il sole. Non lo capivo. 
Così senza accorgermene dissi ad alta voce: "se avessi una barca, di certo non verrei a prendere il sole su una spiaggia, ma mi godrei il mare lontano dal caos, cercherei un angolo appartato, dove godere del mare in silenzio, del volo dei gabbiani, e dei colori del cielo". 
Giovanna, ascoltando quella frase, mi rispose: "ma tu stai guardando quella barca con gli occhi di una che sogna, la stai guardando dalla terra, da questa spiaggia. Loro invece, hanno bisogno di te, che gli guardi mentre scendono dalla loro barca, loro hanno bisogno di essere visti". 
In effetti, non ci avevo mai pensato. Molto spesso, siamo in possesso della possibilità di vivere qualcosa di "diverso", ma ci accontentiamo di uscire dal molo e fare poche miglia, per fermarci in un'altro porto, per farci ammirare, mentre rinunciamo a viaggiare, a scoprire, ma soprattutto ad incontrarci. 

Una volta giunti di nuovo a Camogli nell'attesa di riprendere il treno, ci siamo di nuovo concesse un'altro pezzo di focaccia. In fondo eravamo nella terra della focaccia, sarebbe stato stupido non approfittare. 
Entrammo in una panetteria che faceva angolo con una stradina. L'insegna della panetteria diceva: "in scio canto". Entrammo, il negozio come tutti i locali liguri, era piuttosto piccolo, ma accogliente e ben pulito, la proprietaria era in tono con il locale, gentile e affabile. Mentre stavamo aspettando quello che avevamo chiesto, lei si congeda un attimo da noi, e va a parlare con un ragazzo che era appena entrato, ad un certo punto lo richiama con un "vieni qua".
Quel tono della voce mi era famigliare, quel tono che viene usato da ogni madre per richiamare il proprio figlio. Non mi sbagliai quello era suo figlio.
Mentre attendevo, ripensavo a quel modo inconfondibile di richiamare la propria prole, un pò per come quello usato dai carabinieri o dalla polizia, quando ti fermano e ti chiedono i documenti: "documenti prego". 

Giunta l'ora di incamminarci verso la stazione per il nostro treno del ritorno, imboccammo un vicolo e poi delle scale, e ci trovammo in un'altra bellissima via, dove le insegne erano tutte dipinte a mano. Giovanna si fermò davanti a una bottega, "la bottega dei piaceri", scorse un tipo vino che la incuriosì ed entrò.
Prima di entrare in questo piccolo racconto, devo fare una premessa. Appena arrivate a Camogli, il sole caldo ci ha invitate a togliergli giacche e maglie.
Io lo feci con moderazione per via delle febbre che mi sentivo addosso, mentre Giovanna si levò la maglia, calze, e rimase in canottiera e Jeans e scarpe da tennis. Nulla di che, se non per la canottiera di Giovanna che era proprio un intimo. Il suo portamento in quel momento, con zainetto arancione sulle spalle, jeans arrotolato leggermente sopra le caviglie, le dava un'aria scanzonata.
Entrammo... nel negozio. 
Il proprietario della bottega era seduto semi nascosto dal suo bancone. Con aria di chi vede due "turiste curiose" che molto probabilmente gli faranno perdere solo del tempo, ci accoglie quasi infastidito o poco fiducioso con un: "cosa posso fare per voi?"
Io non dissi nulla, mentre Giovanna gli chiese se avevano un certo tipo di vino, lui disse di si, ma ci squadrò di nuovo da capo a piedi, credo che la canottiera di Giovanna non lasciava spazio alla fiducia di una vendita.
Lui con fare svogliato e una punta di fastidio, tirò giù la bottiglia dallo scaffale, gliela porse indicandole tutti i pregi. Come è solita fare Giovanna, ascoltò con interesse, ad un certo punto lui le disse:"guardi che costa 40,00 euro!". 
Giovanna stette ancora in silenzio per una manciata di secondi, si portò alla bocca il dito indice come per parlare, mentre io ero tra lo scaffale delle conserve e delle marmellate osservavo la scena. 
Sul viso del proprietario comparve un'espressione che diceva: "ecco lo sapevo, non la compra perchè costa troppo, perchè mi chiedono quello che non si posso permettere?"... 
Non ho ancora ben capito se la mia compagna di viaggio non si accorse di nulla,  ma da dove mi trovavo, la scenetta era davvero divertente.
Dopo la pausa riflessiva di Giovanna, rispose: "ah costa 40,00 euro? (pausa) Mmhh ok, ne ha altre due?".
La faccia incredula di quell'uomo non aveva prezzo, la scena era davvero comica. 
Pagato il conto, il proprietario preso forse dalla felicità di una vendita improbabile, o da fatto che ci aveva rivalutate come buone clienti, le illustrò un'altro vino, imbottigliato in un vetro tutto ornato d'oro. Giovanna si limitò a rispondere: "Molto bella, molto preziosa, ma per ora basta così, sarà per la prossima volta, arrivederci e grazie".

E' proprio vero che l'abito non fa il monaco, noi per qualche ragione oscura siamo apparse come due turiste curiose, forse perdi tempo, e scanzonate agli occhi dell'uomo. L'aspetto è contato di più della sostanza. Comunque sia, al negoziante gli è fruttato un buon guadagno, e credo anche l'unico di quella giornata, visto la poca affluenza di gente nel posto, trattandosi di un giorno feriale in un mese dove ancora tutti lavorano, e a Giovanna ben contenta del suo acquisto. Morale: l'apparenza inganna.

Sono solo stata dispiaciuta di esser dovuta venire via nel pomeriggio e di non aver goduto di un'altro spettacolo della Natura, la Luna piena rispecchiare sul mare. Sarebbe stato bello prendersi un aperitivo ascoltando le onde del mare nel silenzio della sera, magari accanto a qualcuno di speciale... un bel sogno... c'è tempo per ogni cosa. 
Sarà la prossima volta... sempre a Dio piacendo...

Ora vi lascio alle immagini....























































































































































































































































































































Foto Autore: Katia Verza
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La distrazione migliore? Il lavoro.
La sconfitta peggiore? Lo scoraggiamento.
I migliori professionisti? I bambini.
La felicità più grande? Essere utile agli altri.
Il mistero più grande? La morte.
Il difetto peggiore? Il malumore.
La persona più pericolosa? Quella che mente.
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